ottobre 2023
Silvana Annicchiarico
Racconto di una vita in una serata
Grazie!
È bastata una sola parola a Francesco Binfaré per trasmettere al pubblico riunito in platea e sui palchi del Teatro alla Scala tutta l’emozione che aveva dentro. “Da giorni preparavo mentalmente il discorso che avrei voluto fare questa sera”, ha dichiarato. “Più e più volte l’ho ripetuto e ripassato fra me e me. Ma ora che sono qui davanti a voi, nella meraviglia di questo teatro, non mi viene da dire che una parola…”. Una pausa. Un attimo di sospensione. E poi, appunto, “Grazie!”. La commozione si riversa tumultuosa dal palco alla sala e un lungo applauso – caldo, partecipe, sentito – dà la misura di quanto quell’emozione sia condivisa.
È il 9 giugno, il Salone del Mobile 2022 è in pieno svolgimento e uno degli eventi più attesi si consuma nel Teatro simbolo della città e dell’eccellenza italiana nel mondo: Valerio e Monica Mazzei hanno voluto la Scala per la prima del film-ritratto che Giovanni Gastel ha dedicato a Francesco Binfaré e al suo rapporto con Edra. Lì, in quella cornice superba, in un teatro saturo di storia e di memoria, il lavoro di due visionari come Giovanni Gastel (che dal 2015 ha realizzato le immagini pubblicitarie di Edra) e Francesco Binfaré (che dal 1992 progetta per Edra artefatti di accogliente eleganza e di sorprendente bellezza) non poteva che generare incanto.
Lo si sentiva ovunque, quella sera, l’incanto: nell’aria, nelle luci, nei silenzi. E, ovviamente, nel film: seduto sul divano Pack, con lo schienale a forma di orso polare, scolpito in un bianco e nero di abbagliante chiarezza, Binfaré guarda nell’obiettivo della videocamera e parla di sé, del suo lavoro, dei suoi sogni. E Gastel lo scruta. Con rispetto, con ammirazione, con pudore. Tutto passa attraverso lo sguardo. Perché Gastel ha questo di straordinario: svelando l’altro, rivela anche se stesso.
Questo intenso film-ritratto (uno degli ultimi lavori del Maestro milanese, scomparso nel marzo 2021) condensa tutto il garbo e l’eleganza con cui Gastel sapeva dar forma alle cose. Il suo sguardo su Binfaré non è mai sfacciato o invasivo. Si pone alla “giusta distanza” e lo attende. Lo accoglie nell’immagine. E poi lo fa sbalzare fuori come fosse un bassorilievo in movimento. Quel che ne esce è il ritratto di un designer innovativo che ha saputo sfidare canoni e luoghi comuni, modificando radicalmente il modo stesso di concepire la forma-divano all’interno dell’abitazione. Prima di lui, i divani erano quasi delle micro-architetture. Avevano una struttura rigida e una forma stabilita: qui lo schienale, lì la seduta. Binfaré invece i divani li ha destrutturati. Li ha liberati dai vincoli tipologici, tecnologici e costruttivi che si portavano dietro da secoli. “Per me – mi ha confessato sul set, durante una pausa delle riprese del film realizzato da Gastel a partire da una mia intervista – i divani sono mini-installazioni itineranti. Producono nello spazio dei comportamenti, delle performance. Io osservo le persone e loro mi dicono, attraverso i loro gesti, come vorrebbero stare sedute. Io parto da lì”.
Negli ultimi decenni – come ha mostrato lucidamente Alessandro Mendini nel suo Piccola storia del divano – il divano è stato fra gli elementi d’arredo quello che più ha “sentito” le mutazioni tecnologiche e le trasformazioni sociali: prima, nell’Italia borghese del ’900, fissava l’etichetta della conversazione in salotto; poi, con l’avvento della Tv, ha sempre più assunto una forma idonea a consentire un’osservazione comoda del totem televisivo collocato in posizione centrale. Successivamente, con l’avvento dei social, a poco a poco la Tv ha perso la sua centralità gravitazionale anche nello spazio abitativo, ma il divano ha continuato a disegnare l’ambiente circostante, e a fare di sé il punto di massima sacralità della casa, il centro di quella funzione primaria e ineliminabile che è il rito dello stare insieme.
Attento alla funzione sociale così come ai bisogni individuali, Binfaré si colloca al crocevia di stratificazioni culturali complesse: Christine Colin, che gli ha dedicato uno studio approfondito e illuminante pubblicato da Electa, propone di leggere il suo lavoro alla luce della lezione di Marcel Duchamp e di Mircea Eliade. Proposta suggestiva, a patto di non dimenticare mai che nel disegnare i suoi divani Binfaré è sempre stato prima di tutto un visionario: lo era quando negli anni ’70 dirigeva il Centro Ricerca per Cassina e lo è ancora di più ora, quando riesce a coinvolgere un’azienda coraggiosa come Edra nelle sue avventure e nelle sue sperimentazioni creative. “Io penso che nel creare una cosa che non c’è – mi ha detto con tono appassionato – si sprigiona una tensione erotica fortissima. Devi dar vita a qualcosa che non esiste, devi infonderle l’anima”.
Questa tensione si sente in tutte le sue “creature”. Così come si sente l’erotismo del progetto. Erede della lezione di Vico Magistretti, con cui ha collaborato quando lavorava per Cassina, ma anche sodale di una visione eterodossa come quella di Gaetano Pesce, Binfaré è convinto che progettare significhi prima di tutto saper comunicare un’idea. Saper accendere un fuoco nella mente dell’imprenditore che poi la dovrà realizzare. “Quando incontri il committente – dice – non devi avere un progetto, ma un’idea. Devi saperla comunicare. Devi coinvolgere l’altro. E in questo processo è molto importante lo scambio di energia”. I suoi divani sono nati così: dalla capacità di far innamorare un’azienda di una sua visione.
Abituato a svegliarsi presto, alle 5 del mattino, in quel momento sospeso fra il sonno e la veglia, Binfaré confessa di avere spesso come delle visioni: “Una volta ho sognato un deserto rosso su cui pioveva nero. Petrolio, forse. Da questo mare nero spuntava un’isoletta rossa. Sono andato in cucina per cercare una matita e segnarmi la forma di questa isoletta, ma non ho trovato matite. Allora ho preso una forbice e ho ritagliato la forma nella carta. Poi ho fatto dei tagli trasversali e delle pieghe. Flap è nato così: una zattera con delle parti che si sollevano. Edra aveva già un giunto che funzionava per i movimenti orizzontali, si trattava solo di crearne un altro per i movimenti verticali”. La tecnologia al servizio della visione, non viceversa. E la libertà assoluta nell’immaginare forme nuove e multifunzionali con la complicità di un’azienda come Edra che crede nella necessità di evitare l’effetto-pialla della globalizzazione tanto negli oggetti quanto nel pensiero. Ogni progetto di Binfaré nasce da un’ispirazione particolare. “All’inizio – ha scritto in un suo testo del 2013 – c’è uno spazio immaginario vuoto nella mia mente, come una scena teatrale in attesa della storia. A un certo punto comincia a nascermi una narrazione e man mano il divano prende forma e riempie da solo la scena e diventa la forma della storia”. Questa idea che il progettare abbia a che fare con il narrare e che la casa sia assimilabile a un palco vuoto in cui il mobile può dar corpo a una narrazione possibile è ricorrente in Binfaré così come in altri grandi innovatori della sua generazione, da Gaetano Pesce a Alessandro Mendini. Se non è narrativa, la matrice della sua ispirazione deriva da un’attenta osservazione dei gesti, delle abitudini e dei bisogni.
Un solo esempio: durante un’estate in Puglia Binfaré osserva i bagnanti che prendono il sole sulle rocce e sugli scogli. In teoria in quella posizione i corpi dovrebbero essere scomodi, ma in realtà si adattano alla configurazione del luogo, e trovano una posizione consona. Binfaré ne parla con Valerio Mazzei che ha appena messo a punto un materiale innovativo, il Gellyfoam, capace di accogliere qualsiasi posizione del corpo. Nasce così, con questa “gelatina di poliuretano”, il divano On the Rocks, dove Binfaré taglia lo schienale dal sedile, per ottenere una forma totalmente libera, senza vincoli, che consente pieno movimento sulla superficie. Un divano come Pack nasce invece dall’osservazione della natura: un orso sdraiato sulla banchisa, che si può spostare liberamente. “Ho immaginato che se il mondo si potesse definire come una superficie che si sta rompendo e frazionando in tante piccole unità, come la banchisa, l’orso poteva rappresentare il simbolo di una grande dimensione affettiva”. Una genesi culturale ce l’ha invece Sfatto, nato dalla visione di un quadro di Lucian Freud, Big Sue, con una donna scompostamente sdraiata su un divano Chesterfield di cretonne. “Sfatto – ricorda Binfaré – nasce in un momento in cui percepivo la fatica del mondo occidentale, la sua gravità, la decadenza. Il dipinto mi ha trasmesso queste sensazioni. E io ho cercato di trasferirle in un divano: un tipico divano borghese, ma disfatto e scomposto”. Che sia proprio il divano il centro nevralgico dell’abitare contemporaneo? Binfaré ne è convinto. Tanto che nel film-ritratto che Giovanni Gastel gli ha dedicato sceglie di parlare seduto su uno dei suoi divani, Pack, quello con la seduta che ha il colore del ghiaccio del Polo e lo schienale a forma di un orso polare. Mentre ne parla, accarezza la testa dell’orso. È un gesto spontaneo, non pensato, probabilmente neanche voluto. Ma proprio per questo – per dirla con Barthes – è un gesto che “punge”: perché esprime e sintetizza tutta la potenziale tenerezza del creatore nei confronti della sua creatura. Perché svela il rapporto intimo e complice che ogni progettista intrattiene con i risultati del proprio lavoro. Ed è proprio questa intimità che il film di Giovanni Gastel (che ora si può vedere in versione integrale su edra.com) riesce a evidenziare con delicatezza e complicità: non il gelido ritratto di un artista scrutato con distacco né una collezione di dichiarazioni apologetiche fatte da estimatori più o meno interessati, ma quasi una confessione, una dichiarazione di poetica, lo svelamento di un metodo. Mentre le immagini scorrono sul grande schermo issato sul palco del Teatro dove di solito risuonano musiche e arie immortali, in sala prende corpo la sensazione diffusa e condivisa che anche in quel bianco e nero c’è qualcosa che sfida il tempo e le mode, e che si avvicina a uno dei bisogni primari di ogni essere umano: il desiderio di avere luoghi in cui rifugiarsi, una casa-tana in cui proteggersi dalle insidie del mondo. Francesco Binfaré da più di mezzo secolo ha lavorato e creato per offrire risposte a questo desiderio/bisogno. L’ha fatto in modo sorprendente e visionario. E solo un altro visionario come Gastel poteva cogliere con questa nitidezza il senso e il valore del suo lavoro. Anche Valerio e Monica Mazzei, la sera del 9 giugno, erano emozionati e commossi sul palco della Scala. Consapevoli di aver contribuito in prima persona a dar forma e voce all’immaginazione di due creatori. E di avere concorso in questo modo a generare l’incanto.
Silvana Annicchiarico Architetto, vive a Milano, svolge attività di ricerca, di critica e di didattica. È consulente per enti pubblici e aziende. Attraverso progetti espositivi ed editoriali si occupa di temi contemporanei, dell’opera di grandi maestri e di nuovi protagonisti del design. Dal 2007 al 2018 è stata Direttore del Triennale Design Museum della Triennale di Milano. |