ottobre 2023
Silvana Annicchiarico
Gallerie d’Italia a Torino
Un tempo era solo una Banca: la sede storica di Intesa Sanpaolo a Torino. Ora – dopo che l’headquarter di Intesa Sanpaolo si è spostato nel grattacielo progettato da Renzo Piano nei pressi della stazione di Porta Susa, Palazzo Turinetti (ancora sede legale della Banca) è stato oggetto di un’importante ristrutturazione che ha dato vita alla sede torinese delle Gallerie d’Italia. Da luogo di transazioni economiche e di investimenti finanziari a spazio espositivo e culturale in cui – sulla scorta delle eredità ricevute dal passato – provare a interrogare il presente e a prefigurare il futuro. Nella visione di Intesa Sanpaolo, infatti, l’investimento in arte e cultura e la scommessa sulla bellezza non sono meno importanti degli investimenti strettamente economici in funzione della crescita del Paese.
Così al piano nobile di Palazzo Turinetti è ora ospitata una selezione di opere del barocco piemontese, insieme alle nove tele dell’Oratorio di San Paolo realizzate nel 1563, che sono state la prima importante committenza storica della Banca. Ma la vera protagonista del nuovo spazio museale è la fotografia: qui, nella parte ipogea del Palazzo, là dove un tempo c’era il caveau della Banca, ha sede ora l’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, che raccoglie oltre 7 milioni di scatti realizzati dagli anni ’30 agli anni ’90 da una delle principali agenzie fotografiche italiane. Nella sua infinita capacità di trasformarsi e di adattarsi anche tecnologicamente ai nuovi tempi, infatti, la fotografia è forse il mezzo di espressione e di comunicazione più capace di intercettare i mutamenti della società e di sintonizzarsi con le trasformazioni epocali. Per questo, nella sede torinese di Gallerie d’Italia (la quarta, dopo quelle aperte a Vicenza, a Napoli e a Milano), non solo è stato trasferito come si diceva l’archivio Publifoto (che è in fase di digitalizzazione e sarà presto reso disponibile al pubblico) ma sono programmate anche mostre temporanee che usano la costitutiva ossimoricità della fotografia, il suo essere sempre – al tempo stesso – un documento oggettivo e una visione soggettiva d’autore – per fare luce sulle sfide della contemporaneità, dalla lotta alla povertà, al contrasto al cambiamento climatico, passando per le questioni legate all’inclusività e all’educazione, con l’obiettivo di alimentare una nuova sensibilità e consapevolezza verso quelle che sono le urgenze sociali del mondo di oggi. “Il museo – dice Antonio Carloni, Vicedirettore delle Gallerie d’Italia a Torino – è stato concepito come un testimone del nostro tempo, come uno spazio in cui i cittadini possono comprendere quelle che sono le grandi problematiche del mondo in cui viviamo: per questo, la programmazione cerca di affrontare e interpretare il contemporaneo”.
La ristrutturazione del Palazzo, affidata all’architetto Michele De Lucchi, è intervenuta a creare un’apertura all’interno del chiostro per accedere ai piani sotterranei: quasi una scalinata rinascimentale all’incontrario, con l’intento di rendere accessibili al grande pubblico spazi che erano rimasti nascosti o inutilizzati per lungo tempo. Così tutto l’ambiente ipogeo è ora dedicato a mostre fotografiche commissionate dalla Banca a grandi fotografi contemporanei: l’inaugurazione del museo è avvenuta con la mostra La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia di Paolo Pellegrin, con la curatela di Walter Guadagnini e il contributo di Mario Calabresi: un lavoro inedito che indaga il tema del cambiamento climatico attraverso una lettura per immagini del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale. L’esposizione di Pellegrin dialogava con la mostra Dalla guerra alla luna. 1945-1969, una selezione di immagini storiche dell’Archivio Publifoto a cura di Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso, che documentava il miracolo economico italiano dalla fine della Seconda guerra mondiale fino allo sbarco dell’uomo sulla luna. Da febbraio a luglio 2023 Palazzo Turinetti ha ospitato invece un’importante mostra dell’artista e fotografo francese JR, noto in tutto il mondo per l’attenzione che dedica ai problemi dei migranti e dei rifugiati. Con il progetto Déplacé∙e∙s, cominciato nel 2022 e presentato per la prima volta proprio nella Mostra torinese, l’artista ha viaggiato in zone di crisi, dall’Ucraina sconvolta dalla guerra fino agli sterminati campi profughi di Mugombwa in Rwanda e di Mbera in Mauritania, di Cùcuta in Colombia e di Lesbo in Grecia, per riflettere sulle difficili condizioni in cui oggi versano migliaia di persone a causa di conflitti, guerre, carestie, cambiamenti climatici, persecuzioni o discriminazioni ideologiche, politiche, etniche o religiose. A Torino JR ha anche realizzato una performance di arte pubblica – una sorta di “processione” laica – che ha coinvolto più di un migliaio di persone per portare in Piazza San Carlo, dalle vie adiacenti, cinque teli raffiguranti le immagini di bambini incontrati durante le visite nei campi profughi tra i dannati della terra. Visibili solo dall’alto, attraverso l’uso di droni e di sguardi in plongée, queste immagini-giganti – con la loro ambizione di provare a compensare e a risarcire il deficit di rappresentazione a cui sono condannate quasi sempre le vittime innocenti delle tragedie epocali – sono entrate a far parte della mostra: trasformate in teli fotografici monumentali o in frammenti video di storyboard di viaggio, sono il filo conduttore di un percorso che ha inizio già dall’ingresso del museo, con l’immagine di un gigantesco occhio stampato sulla porta, per concludersi nella vasta sala ipogea immersiva, dove si ha la sensazione di partecipare a un grande rito di coscienza collettiva. È come se JR con le sue immagini e con quel grande occhio che ci guarda ci dicesse che dobbiamo avere il coraggio e la forza di resettare lo sguardo, che non dobbiamo mai chiudere gli occhi, e che certi sguardi che apparentemente vengono da lontano in realtà profondamente ci ri-guardano. È una visione potente, la sua. Una visione che non denuncia, non urla, non protesta. Semplicemente mostra. E ci chiede di non smettere di guardare, e di prendere coscienza di quello che accade.
La scelta di Edra di fotografare alcuni dei suoi prodotti ambientati negli spazi del museo risponde a una visione che fa propri e condivide al tempo stesso lo sguardo di JR sul mondo e la missione di Gallerie d’Italia di promuovere attraverso l’arte, la cultura e la fotografia valori come la libertà, l’immaginazione, la creatività e la partecipazione. Così, al piano nobile, sui pavimenti fatti di intarsi di preziose essenze lignee, tra i lampadari di cristallo, gli specchi, i dipinti barocchi, e le pareti dorate o ricoperte di broccati color porpora, Edra ha collocato i divani Standard di Francesco Binfaré, in accordo sia cromatico sia formale con lo spazio circostante, così come i tavolini Cicladi di alabastro di Jacopo Foggini o il tavolo Brasilia dei Fratelli Campana.
Anche all’ingresso, di fronte al grande occhio spalancato di JR, alcuni divani di Binfaré color petrolio sono posizionati in modo da invitare alla restituzione dello sguardo, al campo/controcampo visivo. Ma nello spazio, dove la sensibilità sociale e visuale di JR ha collocato i teli giganti con i volti dei bambini che si rivelano solo quando il drappo viene issato e da straccio informe si fa volto e storia e identità, lì Edra ha voluto collocare la poltrona Favela dei fratelli Campana, una seduta pensata per essere costruita con gli scarti recuperati nelle bidonvilles, quasi a voler esprimere anche nella materialità dell’oggetto quel segno di rinascita e di riconquista identitaria che emerge dalle gigantografie di JR. In modo analogo, Tatlin di Roberto Semprini e Mario Cananzi, con la sua configurazione circolare, invita a gettare uno sguardo panottico sullo spazio circostante e sulle sue devastazioni, mentre due sedute delicatamente gioiose come Getsuen e Rose Chair di Masanori Umeda, sembrano voler introdurre un tocco di vita e di speranza davanti a un paesaggio di perdita e di fuga verso l’ignoto com’è quello fotografato da JR. La collezione entra in relazione con l’arte, con la fotografia, con il Palazzo, secondo una visione che mira a fare dello spazio museale un organismo vivo e vitale, che non si limita a custodire le vestigia del passato, ma che incalza il presente e lo indaga, interrogando tutti noi sul nostro modo di stare dentro il nostro tempo. Come dice chiaramente Antonio Carloni, Vicedirettore della sede torinese di Gallerie d’Italia: “Credo che per avere un ruolo civile importante nella società contemporanea il museo debba smettere di fare il museo”.
Silvana Annicchiarico Architetto, vive a Milano, svolge attività di ricerca, di critica e di didattica. È consulente per enti pubblici e aziende. Attraverso progetti espositivi ed editoriali si occupa di temi contemporanei, dell’opera di grandi maestri e di nuovi protagonisti del design. Dal 2007 al 2018 è stata Direttore del Triennale Design Museum della Triennale di Milano. |