Rose Chair. Le poltrone richiamano la tradizione vitivinicola che voleva le piante di rosa all’inizio dei filari.
febbraio 2024
Laura Arrighi
Paesaggio ed Architettura
La cantina è un’opera innovativa che indaga la complessa e profonda relazione tra artificio e natura.
Parlando di vino, il rapporto tra uomo e natura appare subito stretto. Anche se è sempre stato così, nel tempo i paradigmi sono cambiati. Nel passato, l’architettura e il design giocavano un ruolo di minor rilievo rispetto ad oggi. La metamorfosi della terra da elemento produttivo a elemento culturale è abbastanza recente. Questo ha trasformato la produzione del vino in un’esperienza sensoriale da vivere a 360 gradi. Ecco che il design assume ora un ruolo fondamentale nell’accoglienza dell’ospite e nella conduzione di un racconto di valore. Lo hanno capito con una visione lungimirante i Marchesi Antinori, famiglia toscana che si dedica alla produzione vinicola dal 1385 e che grazie alla sensibilità dell’architetto Marco Casamonti, Studio Archea, ha dato vita nel 2012 ad una delle architetture italiane più emozionanti degli ultimi anni. Immersa nelle colline chiantigiane, la cantina Antinori nel Chianti Classico è un’opera innovativa che indaga la complessa e profonda relazione tra artificio e natura, rappresentando la loro perfetta simbiosi. Si mimetizza, nascondendo al suo interno l’impianto produttivo, grazie alla copertura che definisce un nuovo piano di campagna coltivato a vigneto, disegnato lungo le curve di livello da due tagli orizzontali, che permettono l’ingresso della luce e l’inquadratura del paesaggio. Nell’oscurità diffusa e nella sequenza ritmata delle volte in terracotta, il cuore protetto della cantina, coglie la dimensione sacrale di uno spazio che offre le condizioni termoigrometriche ottimali per il processo di lenta maturazione del vino nelle barriques. La ‘cattedrale’ è concepita per accogliere i visitatori e mostrare la produzione in tutte le sue fasi, la storia dellafamiglia Antinori, l’arte e la cultura enogastronomica del territorio. In questo percorso, gli arredi Edra giocano un ruolo fondamentale nel continuo scambio di ruoli fra design e narrazione.
Edra Magazine ha incontrato Albiera Antinori, a capo dell’azienda insieme alle sorelle, e l’architetto Marco Casamonti.
Albiera Antinori. Dalla fondazione della cantina sono trascorsi seicento anni e si sono succedute ventisei generazioni. L’attaccamento al territorio gioca un ruolo fondamentale nella vostra storia. Lo hanno dimostrato questa architettura e anche le vostre iniziative per la promozione all’arte.
È evidente che un’azienda famigliare, che ha una storia lunga e radicata nel territorio, ha tra i suoi valori imprescindibili l’attaccamento alla terra. Producendo vino, questo valore è ancora più forte. Il vino non è altro che un prodotto della terra e del clima, che l’uomo lavora ma che di base la natura fa nascere e crescere. Noi ci mettiamo l’ingegno, siamo stati il motore e l’energia, ma è solo un raccogliere quello che la terra e il clima danno, per renderlo produttivo, anche da un punto di vista intellettuale. Il nostro compito è far conoscere in tutto il mondo il frutto di questo lavoro, e rendere l’attività economicamente sostenibile per poter poi reimmettere sul territorio quello che serve. Anche questa per noi è una declinazione del concetto di sostenibilità: ristabilire equilibrio rispetto all’opera che l’uomo fa sul territorio, reimmettendo in altro modo ciò che togliamo. È così che si chiude il ciclo. La cantina è un omaggio a questa terra. Abbiamo cercato di fare un edificio funzionale a trasformarne i frutti, bello e che segnasse l’epoca in cui è nato, durevole per il maggior numero possibile di generazioni. Allo stesso tempo, abbiamo voluto omaggiare la terra che ci permette di realizzare quello che facciamo, costruendo un’architettura che non la violentasse. Questa nostra volontà è stata interpretata magistralmente dall’architetto Marco Casamonti.
Ristabilire equilibrio rispetto all’opera che l’uomo fa sul territorio, reimmettendo in altro modo ciò che togliamo.
Marco Casamonti. In Italia, almeno una ventina di anni fa, un’architettura di questo tipo era considerata all’avanguardia.
Questo è uno dei primi edifici italiani completamente dentro la terra, che non consuma suolo e anticipa tutti i temi odierni legati all’ambiente. È uno tra i primi grandi edifici industriali del nostro Paese, che dimostra come sia possibile costruire nel rispetto del paesaggio, senza rovinarlo ma, anzi, valorizzandolo. Erano già state fatte ricerche sulla contaminazione natura-edificio, basti pensare alle sperimentazioni di Emilio Ambasz, ma noi abbiamo cercato di portare al limite questa relazione. Il rapporto con la natura è talmente integrato e forte che l’edificio è come se mettesse le proprie radici e si comportasse come una pianta, legando l’attività agricola con il paesaggio. Oggi abbiamo capito che l’uomo ha bisogno di vivere il più possibile immerso nella natura.
Quando si visita la cantina, il vino è fil rouge per lo sviluppo di un’esperienza sensoriale nella quale architettura, design e arredo giocano un ruolo fondamentale. L’idea di trasformare una realtà produttiva in un luogo da vivere è abbastanza recente nella storia italiana.
Marco Casamonti: Fino a qualche anno fa, in Europa le cantine tradizionali svolgevano il loro ruolo. Negli Stati Uniti, invece, dove non esiste una grande tradizione vitivinicola, in particolar modo in Napa Valley, hanno iniziato a costruire un’immagine forte, attraverso architetture fi rmate da grandi architetti. Per sopperire alla mancanza di storia, hanno lavorato su una visione contemporanea di cantina che, allo stesso tempo, fosse carica di quei valori e signifi cati che connotavano le cantine europee. L’obiettivo è collegare la tradizione vitivinicola con una produzione che è diversa da qualsiasi altra produzione industriale, ma che introduce il tema dell’artigianato, della terra e, soprattutto, della capacità creativa ed artistica. La produzione del vino richiede un approccio di tipo artistico e creativo. Ai tempi del nostro progetto, in Europa c’erano stati alcuni casi. Io avevo scritto un libro sulle cantine d’autore: Cantine. Architetture 1990-2005 nel quale avevo raccolto molti esempi di edifi ci di qualità. In Italia, gli Antinori sono stati tra i primi a capire che una cantina di nuova concezione deve essere un luogo di produzione, ma anche di grande sacralità, secondo la nostra cultura, e di rispetto nei confronti della produzione vitivinicola e della natura.
Albiera Antinori: L’Italia era rimasta un po’ indietro nell’approccio di marketing del vino, che non si era distaccato dalla stretta presentazione del cibo. Avendo una tradizione così presente e radicata, il nostro Paese è stato un po’ più lento nell’innovazione, almeno in termini di comunicazione. C’è anche un motivo pratico che rallenta la costruzione di edifici più contemporanei: la nostra legislazione e la nostra burocrazia sono dei deterrenti, quando si vuole intraprendere un progetto ‘diverso’ dal tipico. Ci vuole più tempo, molta determinazione e una buona solidità economica. I salti nel futuro possono essere fatti dalle aziende che hanno la capacità finanziaria per sostenerli, e che sono allo stesso tempo consci della loro tradizione. Intesa in senso positivo, non come una zavorra, un’ancora che ti tiene fisso nel passato, ma piuttosto come un trampolino che ti permette di guardare al futuro in modo profondo. Questi valori sono stati quelli che ci hanno permesso di intraprendere la nostra nuova strada. Prendendo spunto da altri esempi nel mondo, che avevano comunicato il vino in modo più diretto e attento, ma allo stesso tempo portandoci dietro la nostra storia solida, abbiamo cominciato a guardare al consumatore, non solo al prodotto. Pensando alle persone alle quali dovevamo arrivare, abbiamo voluto lavorare su un contesto e su una storia che parlassero e fossero fatti di bellezza, di design, architettura e cibo, di campagna, manualità e intelletto. E quindi il passo è stato facile.
Marco Casamonti: Le sue architetture sono studiate nei minimi dettagli. Come vede la relazione tra architettura e interni, in generale e nello specifico in questo progetto? Non c’è distinzione tra i vari campi. Lo sbaglio è compiuto dalla cultura anglosassone che trasforma l’architetto in una sorta di esperto di discipline differenti (lighting designer, interior designer, landscape designer, engineer). In realtà, il nostro è uno degli ultimi saperi umanistici che implica la conoscenza di vari mestieri. La specializzazione è sempre più alta e si ha bisogno di consulenti, ma la regia complessiva deve essere tenuta in mano da una sola visione e una sola mente. Altrimenti ci si trova di fronte a progetti diversi, che hanno finalità diverse, biografie diverse, storie diverse. Questo secondo me non funziona.
PENSO CHE LA SEMPLICITÀ, L'ELEGANZA E LA BELLEZZA SIANO VALORI CHE CONDIVIDIAMO CON EDRA. INTENDO LA SEMPLICITÀ COME CARATTERISTICA DI QUEI PRODOTTI CHE ASSOLVONO IN MODO PRECISO ED ESSENZIALE ALLE FUNZIONI PER CUI NASCONO.
Come si inseriscono gli arredi Edra in questa architettura?
Marco Casamonti: In questo progetto hanno lavorato tantissime aziende. È uno spazio pensato per accogliere prodotti di qualità, vino di qualità, persone che hanno una visione qualitativa della vita. In un ambiente inclusivo trova casa tutto ciò che lo rende accogliente grazie ad una cura del dettaglio finissima. Il vino è la massima espressione della cura dei dettagli, in ogni fase di produzione: dalla vigna, alla vinificazione, all’affinamento in barrique, fino alla forma della bottiglia, alla scelta del sughero e dell’etichetta. Tutte queste componenti rendono unico ogni vino. Edra è una di quelle aziende che qui trova la sua massima relazione e congiunzione, grazie alla cura del dettaglio e all’attenzione estrema al collegamento tra i vari componenti.
Albiera Antinori: L’edificio ha linee essenziali, anche se con dimensione e con spazi imponenti. Alcuni pezzi Edra si sono inseriti in modo naturale in questo contesto. Arredi essenziali, senza decori, che dimostrano una grande personalità e presenza grazie alle loro dimensioni importanti. In più funzionali, estremamente confortevoli, assolvono all’uso che viene richiesto e rientrano nell’estetica di questo luogo.
Qual è il vostro punto di vista su Edra?
Albiera Antinori: Nel progetto della cantina siamo stati in grado di chiarire alcuni dei nostri valori fondamentali. La semplicità, l’eleganza, la funzionalità e la bellezza. Penso siano valori che condividiamo con Edra. Intendo la semplicità come caratteristica di quei prodotti che assolvono in modo preciso ed essenziale alle funzioni per cui nascono. L’eleganza come un tratto acquisito nei secoli, insieme alla bellezza e alla funzionalità, perché una cosa non può essere bella se non risponde alle esigenze per cui è nata, soprattutto se si parla di mobili. Questi valori sono anche l’essenza della toscanità, che condividiamo, intesa come artigianalità, creatività e anche commerciabilità. Penso che il lavoro di Edra sia rappresentativo dell’artigianalità e della qualità locale. Una rappresentatività che è nello specifico toscana, ma anche italiana. L’italianità ha un suo stile inconfondibile, sia che si parli di vino sia che si parli di arredo.
Marco Casamonti: Secondo me Edra sta facendo un percorso preciso e chiaro. Il mio punto di vista è che non ha sbandamenti. È come se fosse una rivista, che ha una chiara linea editoriale. Oppure una casa vitivinicola, che ha una linea di produzione e trattamento del vino precisi. C’è coerenza nella produzione. Negli ultimi vent’anni sono poche le aziende che non hanno sbandato, che hanno percorso una visione e continuano a farlo senza compromessi. Questo è un aspetto importante: non cedere alla moda, ma perseguire un proprio obiettivo. Prima o poi il mercato apprezza questa coerenza. Il problema non è cavalcare l’onda, ma costruirla. Ed è quello che Edra sta facendo, percorrendo una strada molto difficile e complessa e, soprattutto, che richiede tempo. Ma come dice il marchese Piero Antinori: “Per avere un buon vino occorre tempo. Bisogna aspettare per raccogliere l’uva, bisogna aspettare per farla maturare nelle botti di rovere e affinare in bottiglia. Si può bere dopo due, tre anni dalla vendemmia”. Questo è forse l’aspetto più interessante di Edra: si è data tempo per fare le cose.