settembre 2024
Paestum
Il Teatro del Tempo nell’Antica Magna Grecia
Ci sono luoghi in cui il tempo non si limita a scorrere, ma in qualche modo si manifesta. Si rende visibile. Si fa respirare. Paestum è uno di questi luoghi. Con i suoi tre grandi templi dorici, costruiti fra il VI e il V secolo a.C. e dedicati a divinità greche come Hera e Atena e Nettuno, Paestum è al tempo stesso un luogo di culto e un simbolo di potere. Qui il tempo assume tre diverse maschere, si declina in tre differenti modi: il tempo storico, il tempo architettonico e il tempo mitico. Qui l’architettura svela la sua evoluzione, e si fa teatro di una narrazione in cui dei ed eroi interagivano con gli esseri umani. Il tempo, qui, si fa pietra e linguaggio, slancio verso il sacro, ma anche radicamento nella madre Terra. Qui le generazioni umane sono transitate e tramontate, mentre i templi sono rimasti, a ricordare che gli umani durano meno di ciò che hanno saputo creare. Del resto, tempus, in latino, ha la stessa radice di templum: nelle società premoderne il tempo ha una radice etimologica che lo collega a una certa idea del sacro. È qui, in questo scenario di rapinosa e solenne bellezza, e di inscalfibile memoria, che Edra ha scelto quest’anno di ambientare la sua collezione. Quasi a voler immergere nella perfezione classica gli artefatti generati dalla creatività e dalla visionarietà contemporanee.
Quasi a voler dire che anche gli oggetti devono provare a fare i conti con il tempo. Perché in genere gli oggetti nascono con l’ambizione di essere ubiqui, ma anche con la consapevolezza di non poter essere eterni. Dominano lo spazio, ma sono dominati dal tempo. Lo spazio – a pensarci bene – ha sempre posto all’oggetto di design una duplice sfida: da un lato l’esigenza di essere fungibile e compatibile con il maggior numero di ambienti possibili (indoor/outdoor, locale/globale ...), dall’altro quella di consentire un’occupazione non invasiva, flessibile e poco ingombrante degli spazi medesimi (impilabilità, riponibilità, scomponibilità, trasportabilità ...). Il rapporto con il tempo si è invece risolto per lo più con pratiche di dissimulazione: evitare che l’oggetto mostrasse su di sé i segni del tempo, evitare che abbisognasse di troppo tempo per la sua realizzazione. Mentre lo spazio è stato per lo più avvertito come una sfida, il tempo ha funzionato spesso come minaccia: la minaccia di un’eccessiva durata dei tempi (e dei costi…) di produzione, la minaccia di un’eccessiva arrendevolezza ai segni dell’invecchiamento. Del tempo, la maggior parte dei designer ha visto più i guasti o i rischi che le opportunità.
La scelta di Edra di collocare la sua collezione fra i templi di Paestum ha così anche l’ambizione di ripensare il tempo come opportunità, come disponibilità, e soprattutto come possibile dispositivo di intersezione fra ciò che nasce e ciò che perisce.
Collocati fra i sontuosi reperti dell’archeologia, gli arredi e i divani dell’azienda innescano – in un quadro di astrazione dechirichiana, ma anche di stupito surrealismo – una sorta di gioco fra campo e controcampo non solo spaziale, ma anche temporale. Di qua le vestigia del passato, di là le icone del presente. Ma nello stesso spazio, nello stesso tempo. Che diventa un altro tempo. Kronos (il tempo circolare dell’orologio) diventa Kairos (il tempo mercuriale del vissuto). Il tempo ciclico, misurabile e misurato, si ferma, si sospende, e lascia posto al tempo in cui qualcosa di speciale accade. Tempo epifanico, tempo enigmatico, tempo profetico. Ecco allora che gli elementi che compongono il divano On the Rocks sembrano i blocchi di pietra di una delle vie principali (plateiai) della città, sia per la loro forma da opus incertum, sia per i colori dei rivestimenti che richiamano i cromatismi delle pietre e dei minerali di cui sono fatti i ruderi e le rovine, oltre che i templi e le colonne doriche. L’accostamento e l’ambientazione diventano mimetismo e ibridazione. Davanti al Tempio di Nettuno, fra i due giganteschi pini marittimi, un salottino della Collezione A’Mare di Jacopo Foggini sembra sospeso nel tempo dell’attesa che qualche presenza umana vi si voglia accomodare, mentre sul fianco del Tempio di Cerere, davanti alle imponenti colonne, spiccano il rosso delle poltrone Getsuen e Rose Chair, accanto ai divani Standard con in mezzo la poltrona Chiara di Francesco Binfaré. A volte l’ambientazione gioca sulla mimetizzazione, altre volte sul contrasto e sulla contrapposizione, morfologica e cromatica.
La durezza della pietra versus la morbidezza del divano. Le forme geometriche dei templi versus le forme libere e sinuose di certe sedute. Il color sabbia dei templi versus il rosso o i sabbia delle sedute. Gli Standard color cobalto fanno da possibile eco cromatica a Nettuno e alle profondità del mare, mentre le sedie Milano di Jacopo Foggini, collocate davanti al Tempio di Athena, fanno dialogare lo skyline delle guglie del Duomo degli schienali con l’imponenza delle colonne e dei capitelli antichi. Nell’anfiteatro, dove tutti i cittadini di Paestum si recavano per assistere ai ludi gladiatori con le belve, e a volte anche alle esecuzioni, Edra ha fatto “fiorire i gigli e le rose”. Mentre nel punto più alto della città, dove gli antichi avevano edificato il Tempio di Athena, spicca su tre gradini la poltrona Corallo dei fratelli Campana, dorata, posta sull’altare come opera sacrificale, accanto alla colonna votiva.
Questo accostamento sembra dar corpo e rendere manifesta l’idea simmeliana di rovina: non una sopravvivenza residuale dell’antico volta a sollecitare una meditazione malinconica sulla precarietà e sulla caducità di ogni impresa umana, bensì una “forma” completamente nuova, un ibrido fra le spinte costruttive della cultura e quelle distruttive della natura. Così tra il caos del foro e la sacralità dei templi, tra i silenzi del giardino romano abitato da piante sacre, tra le rovine delle domus, gli arredi di Edra sono collocati con rispetto e con discrezione, come se fossero lì da sempre, come se fossero dei reperti rinvenuti dagli scavi. Grazie alla loro presenza, gli artefatti dell’archeologia vengono ulteriormente antropizzati, secondo una pratica che – come ha mostrato una volta per tutte Jean Baudrillard – fa di essi quasi delle reliquie secolarizzate, chiamate a testimoniare che c’è sempre stato un prima. L’oggetto antico – scrive esplicitamente Baudrillard – “non ha più incidenza pratica, è lì soltanto per significare. E tuttavia esso non è né afunzionale né semplicemente decorativo, ha piuttosto una funzione specifica nel quadro del sistema: significa il tempo”. Edra il teatro del tempo l’ha ripopolato. Ha reso ancora compatibile con il presente ciò che la Storia sembrava aver relegato in un passato perduto. Perché non bisogna perderlo, il tempo. Gli antichi lo sapevano bene: il tempo è denaro. Non lo spazio. È del tempo (e non dello spazio) che la saggezza degli antichi proclamava il valore. Quel valore che ancora oggi, tanto più oggi, abbiamo tutti urgenza di riscoprire e rigenerare.