“Allegoria del trionfo di Venere” dipinto da Agnolo Bronzino tra il 1540 e il 1545 e conservato alla National Gallery di Londra.
settembre 2024
Inseguendo Kairòs
Quando il tema del tempo affiora così spesso nella comunicazione pubblicitaria, vuol dire che è un argomento centrale nelle nostre vite. Comincio da qui, con qualche esempio.
Nello spot in tivù di un’assicurazione, la voce dell’amministratore delegato, che si muove tra pezzi degli scacchi alti come persone, spiega che bisogna avere a cuore il pedone, la torre e l’alfiere, ma alla fine è il tempo il fattore determinante. Vedo il filmato pubblicitario di una banca on line, che invita a pensare al futuro di figli e nipoti. Sfoglio su un quotidiano la pagina di una crema anti-age che punta sulle tracce che il tempo lascia sulla nostra pelle. Nella vetrina di una libreria mi colpisce Il libro di un famoso dietologo che promette di fermare il tempo. Il concetto di longevità, il tempo che si allunga, il mito della gioventù: la verità è che più siamo vecchi più amiamo sentirci immortali. E ancora. Una regione italiana, famosa per le sue montagne, invita ad andare lì per ritrovare il tempo. Infine la mostra di un grande fotografo di celebrities – immagini in bianco e nero, dive in pose d’altri tempi - dal titolo spiazzante, Timeless Time.
Timeless vuol dire senza tempo. Un concetto che da anni ritroviamo nella moda e nel design. Timeless è tutto ciò che non passa mai di moda, etichetta “magica” da applicare su arredi e lampade, cucine, materassi, anche piastrelle e rubinetti. Timeless sembra un sapore che sta bene con tutto, come il gusto crema nel gelato o il colore beige nell’abbigliamento. Ma quello che è davvero senza tempo non ha bisogno di autocertificazioni, lo sappiamo.
Chiaro a questo punto che usare il concetto di tempo piace molto al marketing: crea suggestioni, indaga insight attualissimi, coglie aspirazioni, allontana paure, tocca insomma corde profonde e spinge all’acquisto di mille prodotti diversi. Il rapporto dell’uomo con il tempo è una questione affascinante e irrisolta che ci portiamo dietro da millenni, un tema che ha impegnato filosofi, scienziati, letterati, artisti, poeti. Anche santi e (immancabili) peccatori. Uno dei grandi misteri con cui siamo costretti a fare i conti.
La formazione di storico dell’arte ha fatto affiorare nella mia memoria alcune opere dove il concetto del tempo appare fondamentale, e vorrei portare il mio contributo cominciando proprio da queste. Parto da un quadro da sempre emblema della sensualità, studiato sotto diversi piani di lettura e di significato iconografico, l’Allegoria del trionfo di Venere di Bronzino (1540-1545) alla National Gallery di Londra. La storia dice che Cosimo I, allora Duca di Toscana (non ancora Granduca) mandò la tela a Francesco I re di Francia per ingraziarsi un’alleanza in chiave anti-asburgica, viste le mire espansionistiche di Carlo V. Ma il dipinto che commissiona a Bronzino non è proprio quello che a prima vista appare. In primo piano c’è un bacio tutt’altro che pudico tra Venere e Cupido - che all’anagrafe dell’Olimpo sarebbe poi suo figlio - qui ritratto in posa a dir poco lasciva. Tocca il seno a Venere e intanto le porta via il diadema dalla testa mentre lei, che sembra rapita dall’estasi amorosa, al contempo è intenta a sfilargli una freccia dalla faretra. I due sono contornati da varie altre figure e a ben vedere quello a cui assistiamo è un gigantesco inganno, un campionario di menzogne, di cose ben diverse da come appaiono. Il giovinetto sulla destra, che danza sorridente portando fiori, mentre avanza si punge i piedi con le spine. La fanciulla dal viso etereo dietro di lui ha molte cose che non tornano: corpo di serpente su zampe di leone e mani invertite, la destra per la sinistra e viceversa, con un favo di miele in una e un aculeo di scorpione nell’altra. Dolce e veleno.
A sinistra di Cupido, una donna urla con le mani nei capelli, probabilmente la personificazione della Disperazione che arriva dopo l’amore sensuale. In alto a sinistra un’altra figura femminile, la Follia, sta contendendo un grande drappo blu che fa da sfondo al dipinto a un vecchio pelato con la barba. Costui ha le ali e una clessidra sulle spalle: è la raffigurazione del Tempo. Ecco, arriviamo al nostro tema, a tutti gli effetti è proprio lui il vero signore della scena. Sta tirando a sé il mantello e quando sarà riuscito a strapparlo alla Follia, e a raccoglierlo a sé, tutta questa serie di inganni, di languidi trasporti amorosi che nascondono perfidi giochetti, di botto finiranno. Inghiottiti dal tempo. Bel messaggio del Duca a un possibile alleato: ti mando la rappresentazione dell’amore sensuale ma attento perché le cose non sono mai come sembrano, e io posso essere dolce ma anche terribile. Sei avvertito. Il tempo renderà giustizia.
Rimango sul tema del tempo con un’opera di Tiziano di pochi decenni dopo, l’Allegoria della Prudenza (1565-1570, National Gallery di Londra). Sopra tre teste di uomini di diverse età e, sotto, tre teste di animali. In alto una scritta latina che fa riferimento al tempo: “ EX PRAETERITO / PRAESENS PRVDENTER AGIT / NI FVTVRA(M) ACTIONE(M) DETVRPET” (Basandosi sul passato / il presente agisce in modo prudente / per non rovinare l'azione futura). Tiziano dipinge questo quadro quando ormai ha un’ottantina d’anni e rivede lo svolgersi della sua vita. Il dipinto è una sorta di testamento familiare che coinvolge lui vecchio, ovvero il passato; suo figlio Orazio al centro, che in quel momento è il suo aiutante e, a destra, il giovane nipote Marco Vecellio, il futuro. E i tre animali? Il lupo, facendo riferimento a testi eruditi in voga a Venezia in quegli anni, si nutre dei ricordi del passato. Il leone, simbolo della forza, aiuta nell’indirizzare il presente mentre il cane, spensierato e allegro, ci introduce a un futuro di cose piacevoli.
Tiziano non è solo un pittore. È un erudito, amico di letterati come Pietro Bembo e Pietro Aretino, affascinato dal tema del tempo che aveva già dipinto ne Le tre età dell’uomo (1512) alla National Gallery of Scotland di Edimburgo, e ancor prima in quel ritratto La vecchia (1506) alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (l’attribuzione a Tiziano e non a Giorgione è di Erwin Panofsky) che mostra tutti i segni dell’età senza indulgenze. Il cartiglio che tiene in mano (“Col Tempo”) non lascia dubbi. Una sorta di Memento Mori.
Tiziano fa riferimento a una visione del tempo lineare, esattamente quella che dopo cinque secoli abbiamo conservato noi. Una linea diritta con il passato a sinistra e il futuro a destra, in mezzo il punto in cui siamo. Ma la raffigurazione del tempo non è sempre stata così. Dalla nascita di Cristo, nell’anno zero, abbiamo cominciato a contare il tempo nel modo che conosciamo. Prima la raffigurazione del tempo era circolare, era l’alternarsi rassicurante delle stagioni, un’energia che si autoalimentava rappresentata spesso dall’Uroboro, il serpente che si morde la coda, elemento iconografico che troviamo in civiltà lontanissime tra loro, dal Centro-America all’India.
Fin qui i temi artistici. Abbiamo cominciato con il marketing, che punta alla vendita, e stiamo ora per approdare alla scienza, che punta all’oggettività. Ci spostiamo di livello. La rappresentazione lineare del tempo mi ha fatto tornare in mente le riflessioni di un fisico teorico e pensatore finissimo come Carlo Rovelli, che da decenni ha posto questo elemento al centro della sua ricerca. Rovelli introduce alcuni dati, ormai acclarati, che riguardano la natura mutevole del tempo. Per esempio, che il tempo scorre più veloce in montagna e più lento in pianura. Interstellar, il film premio Oscar 2015, mostra il padre che torna sulla Terra dopo 124 anni e non è affatto cambiato. Ritrova sua figlia, che ha 90 anni e li dimostra tutti. Altro concetto ormai acclarato è che il tempo varia in relazione alla velocità. Quindi un orologio su un aereo che va velocissimo segna un tempo più lento di quello misurato da un medesimo orologio rimasto a terra.
Ma la cosa più stupefacente del suo ragionamento è che la dimensione del tempo è soprattutto personale. Non esiste un passato fissato oggettivamente, un presente hic et nunc e un futuro tutto da esplorare. È falso. È l’approssimazione dell’approssimazione di una realtà molto più complessa legata al concetto di entropia. In realtà, spiega la fisica teorica, che il tempo ha un ordine ma non è quello lineare, piuttosto è determinato da campi gravitazionali. E se aggiungiamo lo spaziotempo della realtà quantistica, dobbiamo immaginare che le nostre esistenze siano immerse in una sorta di tempo gelatina dell’Universo. Insomma, siamo piccolissime entità in balia di forze che non conosciamo.
E allora, in conclusione, cos’è il tempo? Cito testualmente Rovelli: “… cominciamo a vedere che il tempo siamo noi. Siamo questo spazio, questa radura aperta dalle tracce della memoria dentro le connessioni dei nostri neuroni. Siamo memoria. Siamo nostalgia. Siamo anelito verso un futuro che non verrà. Questo spazio che viene così aperto dalla memoria e dall’anticipazione è il tempo, che forse talvolta ci angoscia, ma che alla fine è un dono”.
Mi affascina questa definizione, che riporta a galla il nostro essere in modo così delicato. E lasciato Rovelli, voglio inserirmi in questo spazio di riflessione sul tempo come dimensione personale dove lui felicemente ci ha condotto. Ho recuperato un ricordo dei miei studi classici. Nella lingua greca il tempo aveva più significati e veniva espresso con termini differenti. Esisteva chronos (Χρόνος), usato per indicare la dimensione quantitativa, la sequenza e lo scorrere delle cose. Un dato misurabile e oggettivo. Ma quando volevano fare riferimento a una dimensione personale, a un tempo intimo, benevolo, piacevole, a un momento favorevole, opportuno, felice, allora i greci usavano la parola kairòs (καιρός).
Chronos e kairòs. Mi chiedo: ma perché abbiamo perso questa distinzione, così importante, nella terminologia moderna? Perché non abbiamo conservato la voglia di descrivere quel tempo sottratto alla quotidianità delle cose che si ripetono, al lavoro d’ufficio, al ruolo che abbiamo o che ci viene assegnato, per indicare un tempo per noi e basta? Un tempo per riflettere, per godere di quello che più ci piace, un tempo davvero senza tempo che scorre lento, senza nevrosi, senza maschere, senza schemi. Un tempo che non opprime, non incalza ma è dalla nostra parte, ci è favorevole, ci porta cose belle?
Kairòs è la rappresentazione del tempo che trovo in un piccolo quadro di Felice Casorati, Nudo seduto (Poltrona verde) del 1919 al Museo del Novecento di Milano. Raffigura un’adolescente nella sua casa, il corpo senza vestiti in una dimensione intima raffigurata su una poltrona che la accoglie, le mani lasciate cadere sui braccioli, il viso girato di lato, l’espressione sognante. Sta immaginando come sarà la vita che ha davanti. Sta vivendo la qualità di quel tempo, protetta dal morbido abbraccio di un guscio confortevole dove essere se stessa. Dove mostrarsi realmente com’è. Sta assaporando il suo personale spaziotempo e ha scelto di presentarsi al pittore in una nudità tutt’altro che sensuale, perché si è spogliata di ruoli e convenzioni, ha gettato i vestiti e la maschera. Quel nudo è un’astrazione classica, un anelito di perfezione e di libertà, una dimensione assolutamente lontana dal reale. Rappresenta un piano diverso, uno status da perseguire e un invito a ricercarlo. Un abbandono salvifico.
Ecco, quella per me è la rappresentazione visiva di Kairòs. Tempo per noi, solo per noi. Timeless vero.
Pierluigi Masini Giornalista professionista, laureato in Lettere con indirizzo Storia dell’Arte, due master in Marketing e Comunicazione. Insegna Storia del Design alla Raffles Milano e Interior |